La via Clodia continuerà a svolgere un ruolo importante anche dopo la guerra fra Goti e Bizantini in Italia (535-553): il trattato di pace tra Bizantini e Longobardi del 605, segnando la linea di confine fra le due potenze, sancì la definitiva spartizione della regione in Tuscia Longobardorum a est e Tuscia Romanorum (cioè bizantina) ad ovest;

la via Clodia rappresenterà di fatto la linea di demarcazione fra i due territori, assumendo il ruolo di asse portante della dominazione longobarda per il collegamento fra Tuscania e il nord della penisola. Il lungo conflitto fra il papato e l’Impero si protrarrà fino alle soglie dell’VIII sec. quando si formerà l’entità del Patrimonio Beati Petri con la conseguente definizione amministrativa e fisica delle diocesi, la principale fra le quali fu la diocesi di Tuscania, la più antica e potente; essa vantava il suo primo vescovo già nell’anno 595, Viburno Episcopus Civitatis Tuscanensis.

Ne emergerà, dopo un lungo intervallo di inerzia edilizia, una rinascita dei nuclei urbani ricostruiti sopra le rovine dei centri etrusco romani allineati lungo la via Clodia.

Testimonia dell’importanza di questo collegamento fra l’Etruria e il nord dell’Europa il fatto che nell’anno 800 p.C. Carlo Magno percorse la Clodia per giungere a Roma in San Pietro dove venne incoronato Imperatore dal papa da Leone III. Carlo Magno scese a Roma probabilmente percorrendo la Cassia fino a Siena e raggiungendo la Clodia a sud di Saturnia.

La notizia è riportata nel “Liber Pontificalis”: Carlo Magno e Leone III si incontrarono in “loco qui vocatus Nobas”; altri riportano che Leone III spedì i suoi messi incontro a Carlo Magno; questi giunsero al trentesimo miglio circa ove era la stazione “ad novas” ed “ivi lo attesero.” Il luogo fu individuato a 1 km circa da Trevignano, su un diverticolo tra la Clodia e la Cassia: Duchesne suppone che Carlo Magno fosse sceso per la via Clodia, utilizzando questo diverticolo di collegamento, dato che la strada era impraticabile all’altezza di Bracciano. Sottolinea Cesare Brandi come le due grandi cattedrali di Tuscania innovano il linguaggio architettonico italiano proprio grazie alla penetrazione, anche culturale, che la via Clodia favorì nell’Alto Medioevo. Nelle grandi cattedrali di Tuscania sono evidenti le assonanze sia con le civiltà settentrionali, sia con quella islamica; artigiani, scalpellini, muratori arrivarono a Tuscania percorrendo la via Clodia provenienti dalla Francia, dalla valle del Reno, dalla Sicilia; il linguaggio architettonico, impostato sul repertorio costruttivo delle basiliche romane, si contamina con la maniera lombarda e comacina, con la cultura di Cluny e con quella islamica.

Le Cattedrali di Tuscania diverranno il fulcro tipologico figurativo dell’architettura religiosa del Patrimonio di San Pietro.

In questo quadro si spiegano le assonanze architettoniche delle basiliche di Tuscania con il Duomo di San Savino di Castro, San Pietro di Norchia, San Salvatore e San Pancrazio di Corneto (Tarquinia); San Martino al Cimino, ove si innestano forme tipiche della cultura borgognone; con la Cattedrale di Sovana dove compaiono i grandi pilastri a conci bianchi e neri che anticipano la maniera gotica del Duomo di Siena.

Dai rilievi di M. Salvatori emerge che la cripta di San Pietro a Norchia ha caratteristiche simili a molte cripte di chiese e cattedrali del XI – XII secolo, situate in Etruria meridionale. In particolare “è interessante osservare che le cripte di questo tipo (S. Pietro a Norchia) si trovano tutte lungo il percorso viario che partendo da Tuscania passa per Norchia, Blera, con piccola deviazione per Vetralla (San Francesco), Sutri, Nepi, Castel S.Elia ed arriva a Civita Castellana” a testimoniare come, in epoca Alto Medioevale, il tracciato della via Clodia, un vero e proprio corridoio medioevale, assuma un ruolo di primaria importanza nei collegamenti fra il nord e il sud della penisola; seguendo il tortuoso andamento orografico, la strada offriva la possibilità di una difesa naturale dagli attacchi esterni e rappresentava una alternativa all’impaludamento dell’Aurelia e alla pericolosità della Cassia.
Grazie al Catasto Leopoldino del 1823 è ancora possibile verificare la permanenza di una rete di antiche strade, che incrociavano la via Clodia. Dal racconto del viaggiatore inglese George Dennis, Città e necropoli d’Etruria, sappiamo che egli percorse queste strade in un ambiente ancora non alterato dall’avvento della modernità.
Il suo testo rimarrà a lungo fondamentale per la conoscenza sulla civiltà etrusca; le strade sono in parte ancora quelle che i romani avevano ereditato dagli etruschi, rettificando e lastricando antichi tracciati che i primi padroni di quelle terre avevano realizzato in terra battuta e avevano permesso la sopravvivenza di un economia minima legata ai tempi dellatifondo e della transumanza.