Le rovine di Castro
L’ascesa dei Farnese nei territori del Patrimonio della Chiesa dell’Alto Lazio si concretizza agli inizi del ‘400: sotto il pontificato di Gregorio XII (1406-1417) i Farnese sono a Latera, Ischia,Capodimonte, Gradoli (per metà) e Valentano; al tempo di Eugenio IV (1431-1447) la loro autorità si estende a Marta, Piansano e Tessennano; con Callisto II (1455-1458) viene sancito il possesso farnesiano sul territorio di Ponte della Badia e su Gradoli, possesso che diviene totale sotto il pontificato di Pio II (1458-1464). Successivamente vengono inclusi i territori di Latera, Piansano, Canino, Valentano e Tessenano. Leone X concede, nel 1521 la terra di Caprarola; infine Clemente VI (1523-1534) dà in vicariato al Cardinale Alessandro Farnese – che diverrà papa con il nome di Paolo III – la terra di Ronciglione.

Ma l’ambizione principale del Cardinale Alessandro Farnese rimane il possesso di Castro, dove aveva trascorso in gioventù festosi soggiorni.
Alessandro era nato a Canino il 28 febbraio 1468, nella Rocca di sua proprietà; da Cardinale , partendo da Roma e transitando sulla via Clodia, poteva raggiungere Castro in un paio di giorni.
Alla morte di Clemente VI Alessandro si insedia in Vaticano; nel 1534 Castro passa ai Farnese e diviene la capitale del Ducato.
I Farnese fecero del mecenatismo uno strumento per l’affermazione del loro potere.
Numerosi furono gli artisti che lavorarono per loro; fra i pittori Raffaello, che ritrasse Alessandro da Cardinale e Tiziano che raffigurò i membri della famiglia e Paolo III da vecchio. Fra gli architetti i più celebri saranno Michelangelo che lavorò al Palazzo Farnese di Roma, il Vignola e i Sangallo. In particolare Antonio da Sangallo il Giovane sarà designato dai Farnese alla trasformazione dei loro possedimenti nell’Alta Tusca.
In particolare Antonio da Sangallo il Giovane doterà i centri farnesiani di Mura difensive e trasformerà le rocche medioevali preesistenti in signorili Palazzi rinascimentali.
Approfittando delle differenti possibilità che gli si presentarono realizzerà i palazzi di Gradoli e Capodimonte, il Palazzo di Caprarola, completato in seguito dal Vignola, la chiesa di S.Egidio a Cellere. Ma certamente interverrà con consigli e proposte in tutti i cantieri che saranno operanti nel territorio del Ducato.
L’opera più prestigiosa ed importante, ma anche più sfortunata, rimarrà l’adeguamento di Castro da città medioevale a città capitale. Nella nuova città Sangallo affronterà, grazie alle sue conoscenze tecniche, i problemi della difesa e le esigenze dei rappresentanza di una capitale. Qui “vi furono edificati molto belli edifici, case e mattonate le strade” (Stendardi) e ” essendo questo luogo come deserto Pier Luigi (Farnese) cominciò ad abbellirlo con porte, piazze, palagi strade e case, facendovi concorrere abitatori e artefici tanto che lo ridusse in forme di città.
Antonio da Sangallo il Giovane era nato a Firenze nel 1483 e nel 1503, appena ventenne, si trasferì a Roma dove operava, con grande successo, la bottega dei Sangallo. Infatti dopo il Sacco di Roma del 1527 quasi tutti gli artisti fuggirono dalla città e i Sangallo, che ebbero il coraggio di rimanervi, si trovarono a soddisfare le esigenze di una vasta clientela.
Antonio entra, grazie all’intercessione del Bramante, nel cantiere di San Pietro, lavorando a fianco di Raffaello Sanzio; quindi nel 1534 divenne l’Architetto della corte di Paolo III.
Il Sangallo aveva con passione studiato sui libri di G. B.Alberti e conosceva i principi che il grande umanista aveva dettato per la costruzione della città ideale. E a questo filone culturale, che aveva visto alla metà del ‘400 la realizzazione della città di Pienza sotto il pontificato di Pio II Piccolomini, che Sangallo si rifà per la progettazione urbanistica di Castro.
L’intento dell’architetto è quello di creare una città non solo militarmente sicura ma anche artisticamente unitaria. A differenza degli altri interventi di ristrutturazione Sangallo ha, a Castro, la possibilità di realizzare un intervento vasto ed unitario; come nelle vedute albertiane delle città ideali e nella Pienza del Rossellino la piazza sarà l’elemento qualificante della nuova città. Ancora una volta si rinnova il sogno della Roma imperiale.
Dislocata al centro del tessuto medioevale la Piazza Maggiore o dei Bandi è lo spazio rinascimentale, lo spazio di rappresentanza in cui si concentra l’opera di Sangallo; sulla nuova piazza si concentrano i nuovi edifici pubblici e le residenze private che, in parte preesistenti, verranno riallineate ed architettonicamente regolarizzate.
La Piazza Maggiore è concepita come “foro” della città Ducale: realizzata in forma allungata, un grande rettangolo, orientato est-ovest, di 66,12 mt per 21,60; essa presentava un rapporto di1:3 identico a quello del Circo Massimo, citato dall’Alberti, e adottato dal Bramante per il Belvedere Vaticano. L’intera superficie era pavimentata con mattoni posti a spina di pesce, su tutto lato lungo, posto a sud, Sangallo progetta un edificio porticato, l’Hostaria, con botteghe e ambienti per ospitare la corte; a ridosso dell’Hostaria i disegni, depositati agli Uffizi, ci restituiscono il progetto sangallesco per il Palazzo del Duca, in posizione dominante e con portico al piano terreno. Sui lati corti della piazza si affrontano il Palazzo del Podestà e dall’altro lato la Zecca, nelle forme di quella già realizzata a Roma dal Sangallo (oggi Banco di Santo Spirito) separata dal Palazzo Scaramuccino dalla nuova via del Vescovado; sul lato lungo opposto all’Hostaria sono allineati il Palazzo Sassuolo ed il Palazzo Caronio.
La relazione dello Zucchi, che nel 1630 descrive la Piazza Maggiore di Castro, può rendere l’idea dell’intervento sangallesco ” vi è una bellissima piazza tutta mattonata ed adorna di palazzi intorno e particolarmente del Palazzo Ducale, principato con bellissima architettura e lasciato imperfetto, che al vederlo e considerarlo bene, avea che mostrare una superbissima pianta che per ogni modo rende una bellissima vista”.
Oggi sul luogo di Castro rimane una colonna contenente l’epigrafe “HIC FUIT CASTRUM”. Innocenzo X per vendicarsi degli abusi della famiglia Farnese ordinerà il 3 ottobre 1649 la demolizione della città: “agli ultimi di novembre dello stesso anno della Capitale della Maremma non rimanevano che ammassate ruine. Tutto era stato raso al suolo, le opere pregevoli del Sangallo, quelle del Vignola, le chiese e i Conventi, la Zecca e il Castello, palazzi ed umili abitazioni, tutto era stato abbattuto e distrutto.”(Stendardi)
Ancora oggi Castro è un campo di rovine avvolto nei rovi di una innaturale foresta; qua e là emergono capitelli, basi di colonne, frammenti di lesene; sovente ci si accorge di camminare sullo splendido mattonato; si aprono voragini e appaiono cantinati e cripte, ripidi scaloni spariscono nel terreno scosceso.
La memoria della città, nella forma della rovina è più solida dell’opera distruttrice degli uomini e del tempo: Roma quanta fuit, ipsa ruina docet.